Femminicidio. La morte di Sara e le responsabilità di tutti

IL PECCATO E LA PRIMA PIETRA. Il riferimento è all’uccisione di Sara Di Pietrantonio. Certamente inaccettabile, tremenda, barbara, incomprensibile, vile e qualunque altro aggettivo negativo vi venga in mente, ma dopo? Cioè domani, dopo l’indignazione generale, dopo le paginate di denuncia dai toni più o meno condivisibili dei giornali, dopo le dichiarazioni “d’ufficio” di politici e liberi pensatori, domani cosa abbiamo intenzione di fare? Continueremo a indignarci e a stigmatizzare questa lenta e inarrestabile barbarie o proviamo a spingere il pulsante reset e a ricominciare daccapo, provando a fare meglio di come abbiamo fatto fino a oggi.
Chi può dirsi senza peccato e scagliare la famigerata prima pietra? Tutti abbiamo sempre fatto tutto ciò che c’era da fare o da dire sulla sensibilizzazione alla cultura di genere, sul rispetto della donna e dei ruoli tra uomo e donna? Chi può affermare con certezza “io mi sarei fermato/a a dare aiuto”? Quale madre può mettere la mano sul fuoco riguardo il proprio figlio?
La questione va vista sotto due aspetti: quello giudiziario e quello culturale. Occuparsi del primo spetta alle autorità giudiziarie e alla politica, il secondo aspetto ci riguarda tutti. Perché chi uccide è uno di noi, fa parte della nostra cerchia di familiari, amici, colleghi, conoscenti. E lo è anche chi viene uccisa: figlia, madre, sorella, amica, parente, collega, vicina di casa.
Resta l’appello del procuratore di Roma Maria Monteleone, “perché non facciamo quella telefonata?”, ed è una domanda che ci interroga tutti, nessuno escluso. Perché il rispetto della donna (dei suoi diritti e della sua libertà) non è solo una cosa da femmine o, peggio ancora da femministe, bensì una questione di civiltà. Il punto vero resta la CULTURA, la promozione di una cultura paritaria tra uomo e donna. Non bastano (e forse non servono) più i convegni a tema, i dibattiti al chiuso con nomi illustri che si parlano addosso o, nella migliore delle ipotesi, alle orecchie di chi vuol sentire. Bisogna parlare alle orecchie di chi non vuol sentire. La promozione va fatta nelle scuole, per strada, nei bar, al supermercato, negli uffici e nelle fabbriche. Non basta più condannare a parole il femminicidio, attendere dalla ministra o dalla politica di turno parole di deplorazione verso l’ennesimo mostro che uccide, pretendere dai giornali e dalle istituzioni l’uso del linguaggio di genere. Non possiamo sentirci assolti solo perché diciamo cose politicamente corrette contro la discriminazione e la violenza sulle donne. Per non rimanere per sempre coinvolti bisogna spiegare e far capire a molti uomini ma anche, purtroppo, a tante donne perché è giusta l’uguaglianza e, allo stesso tempo, anche il rispetto delle differenze. È con la sensibilizzazione che si fa prevenzione. Le leggi, ancorché da migliorare, esistono ma da sole non bastano. Serve cambiare le idee, il comportamento, il nostro senso civico, sradicare preconcetti e pregiudizi. Cambiare CULTURA appunto.

http://video.ilgazzettino.it/primopiano/sara_di_pietrantonio_procuratore_agg_monteleone_se_qualcuno_si_fosse_fermato_sarebbe_ancora_viva-1765775.html

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